top of page
  • Immagine del redattoreDott. Massimo Michelangeli

LA FASCITE PLANTARE


La fascite plantare è un disturbo caratterizzato da infiammazione e dolore al legamento arcuato che attraversa la parte inferiore del piede e collega il tallone con la base delle dita dei piedi. Il legamento arcuato svolge un ruolo di primaria importanza nella trasmissione del peso corporeo al piede mentre si cammina e si corre; viene sottoposto a stress, in particolare, durante la corsa o il salto.


La causa della fascite plantare non è ancora del tutto chiara: nel tempo sono state formulate diverse ipotesi, ma la più comune sembra essere “l’overuse”, ossia la prolungata ed eccessiva sollecitazione della fascia plantare. Nello specifico, il sovraccarico ripetuto sulla fascia genera delle microlesioni che, nel tempo, conducono a una degenerazione di tale struttura. Stiamo parlando quindi di un processo degenerativo e non di un’infiammazione della fascia: in alternativa al termine ‘fascite’, che sottintende infatti un processo infiammatorio, sarà più opportuno utilizzare, pertanto, il termine ‘fasciopatia (o fasciosi) plantare’ per riferirsi a tale condizione. Questo concetto è stato confermato anche da esami istopatologici che hanno dimostrato la presenza di degenerazione e di un ispessimento della fascia anziché di cellule infiammatorie. Possiamo individuare alcuni fattori di rischio che potrebbero aumentare la possibilità di sviluppare la fascite plantare in alcuni soggetti. Tali fattori possono essere intrinseci (ossia associati a caratteristiche interne del soggetto) o estrinseci (ovvero caratteristiche dell’ambiente esterno che circonda il soggetto). Tra i principali annoveriamo: piede piatto; età; sovrappeso; pronazione eccessiva del piede; piede cavo; rigidità dei muscoli del polpaccio (gastrocnemio e soleo) e dei flessori del ginocchio; rigidità del tendine d’Achille; debolezza dei muscoli intrinseci del piede e del polpaccio; limitazione della dorsiflessione della caviglia; allenamenti o attività fisica errati (come ad esempio un aumento troppo rapido della distanza, dell'intensità, della durata o della frequenza delle attività); calzature non adeguate. Tale patologia tende a manifestarsi più frequentemente tra i 40 e i 60 anni. Il sintomo principale della fascite plantare è il dolore localizzato al tallone ma, talvolta, può estendersi anche al centro della pianta del piede. La tensione della fascia plantare è visualizzabile come una corda sottocutanea, sporgente e sottesa all’arco plantare, dolente alla sua pressione. In casi più avanzati, a livello del calcagno è palpabile una tumefazione corrispondente alla borsite neoformata. Solitamente, si sviluppa gradualmente: più acuto al mattino, quando ci si alza dal letto, tende a diminuire dopo aver effettuato i primi movimenti, per poi riacutizzarsi dopo essere stati seduti a lungo. La diagnosi di fascite plantare è principalmente clinica ed è basata sulla storia del soggetto, sulle informazioni raccolte durante la valutazione e sull’esame obiettivo svolto durante la prima visita. In moltissimi casi il supporto degli esami strumentali non risulta essere necessario, ma possono essere indicati quando, ad esempio, la diagnosi non è chiara o vi sono situazioni dubbie; quando il paziente continua a lamentare diversi sintomi nonostante un periodo di trattamento conservativo o quando si ha la necessità di escludere altre eventuali condizioni. I principali esami strumentali utilizzati in queste circostanze sono:

  • Radiografia: permette di individuare o escludere eventuali patologie ossee (come ad esempio una frattura da stress). Consente inoltre di rilevare la presenza di speroni calcaneari (riscontrati in circa il 50% dei pazienti), anche se la loro presenza non è sempre associata a una diagnosi di fascite plantare. Questi sono osservati all'origine del muscolo flessore breve delle dita e non nell'inserzione prossimale della fascia plantare.

  • Ecografia: consente di escludere alcune cause di dolore al tallone e può essere utile nel confermare la diagnosi, in quanto permette di stabilire lo spessore della fascia plantare o la presenza di lesioni. Nei pazienti con fascite plantare, infatti, lo spessore della fascia risulta maggiore di 4-4,5 mm.

  • Risonanza magnetica: atta a identificare altre lesioni dei tessuti molli (come tendini, legamenti, muscoli). Anche in questo caso è possibile osservare un ispessimento della fascia plantare, oltre a eventuali altre lesioni, fratture da stress o difetti osteocondrali.

Numerosi studi riportano tassi elevati di miglioramento dei sintomi entro un periodo di tempo nettamente inferiore, se gestiti con un trattamento di tipo conservativo che ha l’obiettivo di ridurre il dolore e permettere un ritorno alle normali attività quotidiane, sportive e lavorative, migliorando la qualità di vita generale. Il trattamento è costituito da diverse modalità che devono essere utilizzate in combinazione tra loro per ottenere risultati migliori e più rapidi. Tra le principali:

  • Educazione del paziente: fase fondamentale in cui viene illustrata nel dettaglio la patologia, affrontandone i principali meccanismi e i tempi di recupero. È necessario che il professionista si soffermi sull’importanza di una partecipazione attiva e costante del paziente al percorso di riabilitazione. Possono essere consigliate delle modifiche da apportare alle attività da lui svolte che vanno ad aggravare i sintomi sperimentati; quelle che comportano un impatto ripetitivo, come la corsa, dovranno essere inizialmente evitate. In tal caso i pazienti potranno continuare a mantenersi in salute svolgendo altre attività, come il nuoto. È indicato quindi un riposo relativo e non assoluto, lavorando gradualmente per permettere un recupero ottimale.

  • Farmaci: i FANS (Farmaci antinfiammatori non steroidei) ad esempio, se prescritti dal medico e se combinati con altre modalità di trattamento, possono aiutare a fornire sollievo dal dolore a breve termine.

  • Ghiaccio: diversi impacchi di ghiaccio nel corso della giornata possono essere utilizzati per ridurre il dolore e il gonfiore associati.

  • Plantari: utilizzati da molti pazienti, possono favorire la riduzione del carico sulla fascia plantare durante lo svolgimento delle diverse attività. In questo caso verrà effettuata un’indagine preliminare della deambulazione tramite esame baropodometrico e rivelazione dell’appoggio plantare sul podoscopio, al fine di ricercare eventuali dismorfismi (es. piede piatto, piede cavo-valgo, ecc.).

  • Terapia fisica: ultrasuoni, Laser terapia Onde d’urto, Stretching ed esercizi di rafforzamento.

Laddove, al contrario, tutti questi trattamenti dovessero dimostrarsi inefficaci, il medico potrà decidere di ricorrere all'intervento di distensione chirurgica. Come tutte le operazioni chirurgiche, non è tuttavia privo di rischi e va pertanto effettuato soltanto qualora la fascite non accenni a migliorare dopo un trattamento aggressivo prolungato (8-12 mesi). Si tratta in effetti di un intervento ad alto rischio di complicazioni (infezioni, lesioni nervose, rilascio eccessivo della fascia e persistenza dei sintomi in caso di diagnosi errata). Il ricorso all'operazione, che può essere svolta in endoscopia o con le tecniche chirurgiche tradizionali, va quindi effettuato soltanto dopo un'attenta valutazione della propria condizione con uno specialista. Nel caso in cui l'intervento venga effettuato con successo, il ritorno a un regolare svolgimento delle attività sportive potrà compiersi, generalmente, dopo un periodo di recupero pari a due o tre mesi. Dott. Massimo Michelangeli Podologo

1 visualizzazione

Post correlati

Mostra tutti
bottom of page